Dovevo lasciare i cuccioli per una mezz’oretta. Eran già grandini, avevano 15 giorni e il pericolo “schiacciamento” era fugato e potevo allontanarmi per qualche momento dal loro giaciglio. Avevo “gironzolato” attorno a quei “fagiolini” per giorni, coadiuvando la mamma nella loro gestione.

Ora, il lavoro, quello vero, mi reclamava.

L’anziana del gruppo dimostrava un grande affetto per i piccolini e la loro mamma necessitava di una bella passeggiata in giardino. Così decisi di lasciare la capo-branco in camera per badare a loro. Un quarto d’oretta senza la madre e me non si sarebbe tramutata in una catastrofe, che diamine!

Presa dal daffare, ero concentrata sul lavoro ad aiutare mio marito. C’erano parecchi avventori e, lavorando da solo, avrebbe ritardato il servizio.
Ok, ora la ressa era terminata e io potevo scendere a casa (il luogo di lavoro era nello stesso caseggiato dell’abitazione) a spron battuto. Non era essere apprensivi, ma coscienziosi.

Entrai in camera da letto e contai: uno, due, tre. Mancava un cucciolo. Ricontai: uno, due, tre…e sì, erano i tre rossi… la nera dov’era?!? Sotto al letto? Doveva obbligatoriamente aver attraversato la ribaltina della cassa e sarà stata… sotto il letto! Sotto al letto… non c’era! Sotto il mobile bianco? neppure… Accidenti! Ero nel panico perché… non c’era altro posto dove cercare. Intanto che la disperazione saliva… grido a “lei” di aiutarmi. Sì, ok, la disperazione mi era già era presa intanto che contavo! “Muoviti, aiutami! Non startene lì sul letto a uggiolare! Scendi, dimmi, dimmi dov’è?! Dove l’hai vista andare?” Le parlavo come fosse una persona… un po’ perché lo faccio spesso di parlar con loro, un po’ perché non mi rendevo conto che era un cane… e neppure una razza da ricerca e tanto meno da riporto!

Avete mai provato la sensazione di impotenza mista a sconforto e a timore? Ecco. Ero messa così. Avevo la gola attanagliata. Lei, comoda sul letto, seguiva il mio agitare, allibita.

Avevo quasi le lacrime agli occhi dalla paura. Immaginavo di aver chiuso male la porta mentre uscivo. E allora la cercai lì, nell’altra stanza. Nulla.
Lei scese dal letto, mi si avvicinò e mi strusciò la zampa sulla gamba. Poi, tornò verso la stanza da letto. Si fermò sull’uscio e mi guardò. Mi invitava a seguirla. Nel mio trambusto non mi ero accorta che il letto era intatto, non fosse per il plaid tutto ammucchiato al centro.

La piccola nera era lì dentro. Forse avrà pianto, forse no. Sta di fatto che lei l’aveva vista fuori dalla cassa parto e ha pensato che avrebbe preso freddo e che fosse in difficoltà . L’aveva raccolta tra le fauci. Le aveva preparato un “lettuccio” a forma di cratere, un cratere felpato, caldo e morbido. Che sospiro di sollievo!

Brava lei che si prendeva cura di tutti i componenti del suo gruppo, dai più grandi ai più piccini, fossero o no figli suoi. Una brava mamma e una brava capo-branco.

Scodinzolava e saltava sul letto, felice di avermi dato una mano, di essere arrivata a “sostituirmi” e a guadagnare ancor di più la mia incondizionata fiducia.

A “lei” che mi ha accompagnato nei primi anni della mia vita di Chowista. “Lei” che ha aiutato a far crescere a dismisura la mia passione per la razza.