12.12.1988

“Dai, vieni, vieni con me”. Sono i tuoi occhi a mandorla che mi esortano. La mia mano nella tua bocca gentile. Mi accompagni fuori, in giardino. Ho un gran daffare, ma ti seguo, so che ci tieni e, del resto, mi chiedi sempre così poco. Ti dimeni, scodinzolando e mi guardi compiaciuta. Io e te, di fronte, sotto il faggio piangente.

Ogni volta è la stessa. Ogni volta cerchi di farmi comprendere cosa mi vuoi mostrare. Che vuoi?! Sono ottusa e, nonostante mi congratuli con te, non riesco proprio a capire perché mi accompagni qui, una volta di tanto in tanto, nello stesso posto, da anni.

Ricordo che la prima volta ho pensato che ti piacesse il fumo del camino che usciva dal comignolo della casa nella balza di sotto. No, non era quello perché sei mesi dopo, il fumo non c’era, ma noi eravamo lì.
Forse gli uccellini che avevano nidificato sull’albero del vicino? No, neppure quelli. Gli uccellini svolazzavano tutti i giorni e… non potevano esser loro.

Allora… la neve… no, la pioggia… o il sole… di mattina, di sera, di pomeriggio… in estate, in inverno in autunno e sì, anche in primavera.

Eppure tu eri sempre entusiasta di mostrarmi quel che io non vedevo. Tante carezze, un bacio sul muso e un grazie per avermi resa partecipe della tua “scoperta”, di quel che ti piaceva così tanto da renderti euforica e chiamarmi… corri, corri, vieni con me…

Abbiam passato anni, correndo fuori per condividere quella tua “meraviglia”. E poi, dopo anni, questa ottusa ha capito. Ti piacevano tanto, tanto, tanto, quelle forme strane delle nuvole. E le volevi le vedessi anch’io.

Quando mi capita di guardare in alto e mi piace la forma di una nuvola… vorrei condividerla con te. Tu, che mi hai insegnato ad apprezzare la bellezza delle nuvole.

A AnSjanBai, prima femmina nata al Ceppo Rosso, madre gentile e amorevole. Amica mia, indimenticabile.